Basta solo fermarsi un attimo e pensare: quanto tempo passo al lavoro? Non ci dovrebbe stupire che un terzo della nostra esistenza la viviamo nel luogo di lavoro. Esattamente come accade per il bullismo a scuola, le vessazioni possono arrivare anche nel lavoro, ma in questo caso si parla di mobbing. Ecco tutti i dettagli!
Subire e sopportare soprusi, malcelati da ordini di servizio da parte del superiore o dei colleghi, porta a un abbassamento del tenore di vita, dell’umore e della produttività.
La legge italiana non ha nel proprio ordinamento il reato di mobbing, ma in quello europeo esiste una risoluzione che rappresenta uno dei primi riferimenti normativi in materia.
Il mobbing sul lavoro consiste in un insieme di comportamenti violenti perpetrati da parte di superiori e/o colleghi nei confronti di un lavoratore, prolungato nel tempo e lesivo della dignità personale e professionale nonché della salute psicofisica dello stesso.
La pratica del mobbing, consiste nel vessare il dipendente o il collega di lavoro con diversi metodi di violenza psicologica o addirittura fisica, con il fine di indurre la vittima ad abbandonare il posto di lavoro, anziché ricorrere al licenziamento.
Si riconosce questo reato, quando si verificano questi atteggiamenti:
- Riduzione delle mansioni, tale da rendere umiliante il prosieguo del lavoro;
- Continui rimproveri e richiami espressi in privato e in pubblico, anche per banalità;
- Uso esasperato ed eccessivo di forme di controllo;
- Esclusione reiterata del lavoratore rispetto ad iniziative formative, di riqualificazione e aggiornamento professionale;
- Mancata assegnazione dei compiti lavorativi.
Non esiste una regola per dare un giudizio, ma è necessaria la persistenza di alcuni requisiti che devono essere valutati a discrezione dal giudice. È necessario rivolgersi a professionisti del settore che possano effettuare un’accurata valutazione preliminare.
Esistono diverse tipologie di mobbing tra le quali:
- Mobbing dal basso, in cui Il mobber è in una posizione inferiore rispetto a quella della vittima. Accade quando l’autorità di un capo viene messa in discussione da uno o più sottoposti;
- Mobbing gerarchico, dove Il mobber è in una posizione superiore rispetto alla vittima: un dirigente, un capo reparto, un capoufficio. Questo tipologia comprende tutti quegli atteggiamenti riconducibili alla tematica dell’abuso di potere;
- Mobbing strategico, nel quale l’attività è condotta da un superiore al fine di costringere alle dimissioni un dipendente in particolare. Accade spesso nelle imprese che hanno subito ristrutturazioni, fusioni o cambiamenti che abbiano comportato un esubero di personale difficile da licenziare;
- Mobbing orizzontale, cioè praticato da parte dei colleghi verso un lavoratore non integrato nell’organizzazione lavorativa per motivi d’incompatibilità ambientale, caratteriale, etnici, religiosi, sessuali etc.
Anche se non esiste nel nostro ordinamento una legislazione in merito, non mancano principi e istituti che tutelano le vittime di questo reato. Qualunque sia la forma di mobbing attuato, la conseguenza a cui il giudice si deve attenere è il grave disagio fisico e psicologico che ha suscitato nei confronti della vittima.
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