OCCUPAZIONE ABUSIVA DI IMMOBILE. QUALI TUTELE?

 

Negli ultimi anni assistiamo a diversi fenomeni di occupazione abusiva di immobili.

Le cause che posso spingere determinati soggetti a compiere queste azioni posso essere dettate da vari fattori: opportunismo, disperazione o cattiveria.

Siamo investiti da numerosi articoli giornalistici che raccontano di poveri anziani che escono da casa per andare a fare la spese e quando vi tornano trovano la propria abitazione occupata da terzi. In molti casi ritrovano anche tutti i mobili e gli effetti personali buttati per strada!

L’occupazione abusiva, pertanto, si verifica quando dei soggetti, senza l’autorizzazione del proprietario, si introducono all’interno della proprietà ed iniziano ad utilizzarla come fossero proprietari.

Che si fa in questi casi?

Per prima cosa, occorre fare molta attenzione: non sono ammessi atti arbitrari da parte del proprietario, come usare la forza per mandare via gli occupanti oppure cambiare la serratura.

Qualora ciò dovesse accadere, il proprietario può passare i guai.

Ebbene si. In questi casi, per riprendere il possesso dell’immobile, è necessario rivolgersi all’Autorità Giudiziaria con un procedimento più veloce rispetto a quello per una causa ordinaria che dura, generalmente, diversi anni.

In pratica, se tutto va come deve andare, in pochi mesi si può ottenere un provvedimento che autorizza il proprietario a rientrare nell’immobile.

Naturalmente, per attivare una simile procedura, devono esserci dei presupposti che saranno vagliati dal Giudice.

Una volta ottenuta l’ordinanza di rilascio dell’immobile a carico dell’occupante, poi, si passerà alla fase esecutiva, quella cioè con cui il proprietario, con l’intervento dell’Ufficiale Giudiziario e, se necessario, della Forza Pubblica e di un fabbro, riotterrà il possesso dell’immobile.

Anche in questo caso bisognerà mettere in conto gli ulteriori tempi tecnici per arrivare alla liberazione dell’immobile.

Potrete leggere il provvedimento allegato, ottenuto da Spazio Legale, che sintetizza la procedura seguita e che ha sortito gli effetti sperati.

Bisogna tenere a mente, però, che ogni caso va contestualizzato a valutato attentamente.

Il nostro Staff di professionisti è a vostra completa disposizione per ogni necessità

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LEGGE ANTISUICIDI: quali tutele?

La legge 3/2012, detta anche “legge salva suicidi” o “legge anti suicidi”, ha introdotto una procedura  per venire incontro al sovraindebitamento dei soggetti privati e delle aziende agricole e, più in generale per quei soggetti che non possono essere sottoposti alle procedure concorsuali.

Questa legge, la maggior parte delle volte, è applicata per liberarsi dalla morsa opprimente delle cartelle Equitalia e, così, consente il mantenimento del tenore di vita necessario a sostenere la propria famiglia.

Per poter accedere alla procedura il soggetto richiedente deve essere un consumatore, deve, cioè, aver assunto obbligazioni esclusivamente per scopi estranei all’attività imprenditoriale professionale eventualmente svolta e deve trovarsi in uno stato di sovraindebitamento:  una condizione di squilibrio perdurante tra debiti e patrimonio liquidabile, che pone il consumatore in una situazione di difficoltà o impossibilità di pagare i propri debiti.

Per accedere alla composizione della crisi, il debitore si deve rivolgere ad un organismo di composizione della crisi per trovare un accordo con i creditori ed evitare l’espropriazione dei beni.

La legge anti suicidi prevede due strade alternative:

  1. L’accordo di ristrutturazione dei debiti: il debitore propone ai creditori una proposta di ristrutturazione dei debiti, tramite un accordo realizzabile, anche con l’aiuto di garanzie e garanti.

    Il Tribunale verifica che vi sia il consenso dei creditori che devono rappresentare almeno il 60% dell’ammontare dei crediti. In tal caso l’accordo viene omologato.

  2. Il piano del consumatore, percorribile solo in presenza di buona fede ovvero quando la colpa del sovraindebitamento è dovuta a cause non imputabili al consumatore. Non richiede l’approvazione dei creditori, ma solamente la valutazione di fattibilità da parte del giudice. Tale valutazione deve essere supportata da una relazione dell’Organismo di Composizione della Crisi

Ti ritrovi in serie difficoltà economiche a causa di una rilevante esposizione debitoria?

Contattaci. Troverai il nostro staff a tua completa disposizione.

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TRIBUTO CONSORZIO DI BONIFICA. E’ DOVUTO?

Spazio Legale, ormai da diversi anni, ottiene vittorie nei ricorsi in Commissione Tributaria contro l’Ente di Bonifica.

Anche quest’anno, con una recentissima sentenza della CTP di Lecce, il nostro Staff ottiene l’annullamento del tributo.

La Commissione adita ha basato la propria sentenza su l’art. 2697 del codice civile che recita: “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento”. E il Consorzio non l’ha fatto!

In forza di questo principio, recita la Corte, è pacifico che il Consorzio avrebbe dovuto dimostrare i fatti costitutivi della sua pretesa assumendo, come fa in genere un creditore che pretende il pagamento di una somma di denaro a vario titolo.

Unica eccezione: solo qualora la norma di imposta o quella del procedimento preveda espressamente tale inversione dell’onere processuale.

Orbene, prosegue la Corte, dall’esame delle disposizioni della L.R. n. 4 del 2012 titolata “ Nuove norme in materia di bonifica integrale e di riordino dei consorzi di bonifica”, che in concreto disciplina la materia, non si ricava alcun precetto che imponga al proprietario degli immobili rientranti nel perimetro di contribuenza di dover provare l’insussistenza dei nominati fatti costitutivi della pretesa contributiva.

Nonostante tutto il nostro Studio ha ugualmente prodotto una perizia giurata che esplicitamente ha escluso qualsiasi beneficio o vantaggio per il ricorrente stesso e, addirittura, denunciando che “Gli ultimi interventi da parte del Consorzio di Bonifica di Arneo risalgono presumibilmente intorno agli anni 80 con la realizzazione di alcune opere pubbliche di bonifica costituite da linee di adduzione di irrigazione con bocchette di presa d’acqua che si diramano sulla superficie aziendale e si collegavano alle linee principali di adduzione”. E aggiunge che tali tubazioni sono rimaste negli anni del tutto inutilizzate “in quanto non è mai arrivata acqua di irrigazione, essendo la condotta principale non invasata e mai collaudata”.

Per tali motivi la Commissione Tributaria di Lecce ha accolto il nostro ricorso.

Comunichiamo che il Consorzio ha già provveduto a recapitare gli avvisi di pagamento per gli anni successivi al 2015.

Anche questi andranno impugnati se non si vuole essere soggetti a questo inutile balzello.

Il nostro staff di professionisti è a Vostra completa disposizione per ogni necessità.

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ESTRADIZIONE? STOP ALLA CONSEGNA IN CASO DI GRAVI VIOLAZIONI

 

 

 

Amara sorpresa sotto l’Albero di Natale per un cittadino italiano, raggiunto da un Mandato d’Arresto Europeo con Estradizione per fatti accaduti in Grecia diversi anni prima.

Arrestato e tradotto in carcere, in attesa della pronuncia della Corte di Appello  di Lecce sulla richiesta estradizione, lo stesso apprendeva che la Corte di Appello di Salonicco, con sentenza del 2018, lo aveva condannato a 10 anni di carcere per un presunto reato commesso nel 2014.

Dopo aver conferito mandato al nostro Studio,  ottiene  i domiciliari ed  il 15 gennaio 2021  si celebra l’udienza in cui la Corte d’Appello di Lecce  deve pronunciarsi sulla sua consegna alle autorità greche.

Grazie ad un’attenta e minuziosa difesa improntata da questo Studio, la Corte rigettava la richiesta di consegna e disponeva l’immediata liberazione dello stesso.

La difesa di Spazio Legale si è incentrata su due argomenti principali:

  1. violazione del diritto a un equo processo: è stato dimostrato che la sentenza della Corte di Appello di Salonicco conteneva delle evidenti lacune a scapito del diritto di difesa dell’imputato;

  2. condizioni inumane delle carceri greche: è stato depositato il Report del Comitato per la Prevenzione della Tortura – organo sovranazionale che ha il compito di denunciare trattamenti inumani e degradanti nei confronti dei carcerati – dal quale emergevano evidenti violazioni dei diritti umani negli istituti penitenziari del territorio greco.

Un ottimo lavoro di squadra che ha portato ad un grandissimo risultato e ad un’immensa soddisfazione di cui vogliamo farvi partecipi!

Per info, non esitate a contattarci. Tutta la nostra equipe è a disposizione per la tutela dei vostri diritti.

info@spaziolegale.com

Si allega copia del provvedimento favorevole:

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NON SEMPRE IL GARANTE E’ RESPONSABILE DEL FINANZIAMENTO!

Le cose che abbiamo in comune sono 4850…” così esordisce una nota e ritmata canzone d’amore che molti di noi avranno canticchiato almeno una volta.

Quando le strade si dividono, però, avere tante cose in comune può essere fonte di non pochi grattacapi, tanto da catapultare i malcapitati in contesti molto meno romantici.

È il caso di una coppia che, dopo aver sottoscritto un contratto di finanziamento, non provvedeva al pagamento delle restanti rate pattuite. Nello specifico il marito aveva sottoscritto il finanziamento, mentre la Banca chiedeva anche la firma della moglie a garanzia del prestito.

L’istituto di credito decideva, pertanto, di agire giudizialmente nei confronti dei entrambi i coniugi. Considerava la moglie  obbligata al pari dell’ex coniuge e incardinava, così, il procedimento presso il Tribunale del luogo in cui il contratto era stato stipulato e che corrispondeva alla loro residenza al momento della firma.

In realtà la Banca non si era adeguatamente informata del fatto che il marito si era trasferito per lavoro in Abruzzo, mentre la residenza della moglie era sempre quella!

Il nostro Studio, pertanto, chiedeva al Giudice di far riconoscere la  subordinazione contrattuale della moglie rispetto al marito e la conseguente incompetenza del Tribunale della residenza della moglie perchè, in realtà, competente era quello della residenza del marito! 

Ebbene, il Giudice, ritenendo che la nostra cliente avesse sottoscritto il contratto di finanziamento in qualità di garante, ha sposato così la nostra tesi, avvalorata da un consolidato orientamento giurisprudenziale.

Nello specifico, in presenza di un contratto di fideiussione:

  1. l’obbligazione del fideiussore è accessoria rispetto all’obbligazione principale;

  2. in materia di tutela del consumatore bisogna fare riferimento al requisito soggettivo dell’obbligazione principale.

Un altro importante successo per il nostro Studio che ne rende ancora più evidente la preparazione e l’efficienza, da sempre al vostro servizio!

E ricordiamoci che se “l’amore è cieco”, prima di sottoscrivere un finanziamento è sempre bene aprire gli occhi ed affidarsi a professionisti preparati che possono fornire la giusta consulenza nell’interpretazione dei moduli contrattuali forniti delle Banche!

Metteteci alla prova.

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ACQUISTO MOBILI: IL VERO PREZZO DELLA CONVENIENZA

La convenienza esiste davvero?

Sono sempre più gli italiani che scelgono di arredare la propria casa a prezzi particolarmente vantaggiosi, se non “stracciati”.

Accattivanti e ridondanti campagne pubblicitarie (esempio: “La convenienza su tutto”; “Prezzi Stracciati”; “La Convenienza esagerata”) attirano puntualmente l’attenzione di chi non intende spendere cifre eccessive senza per questo rinunciare a mobili all’ultimo grido.

I retroscena di questa tipologia di acquisti, spesso poco conosciuti, possono celare, però, amare sorprese!

È il caso di quei clienti che, alle prese con ritardi delle consegne (quasi costanti) e vizi della merce acquistata da un colosso italiano della grande distribuzione organizzata di mobili e complementi di arredo, si ritrovano catapultati, loro malgrado, in un tunnel senza uscita. Telefonate, mail, reclami…tutto inutile. Ad un tratto, la nota azienda con la quale avevano stipulato il contratto di compravendita – con tanto di logo e sito internet- sembra svanita nel nulla!

Nelle ipotesi più fortunate, una volta stabilito un contatto, a interfacciarsi sarà una società apparentemente diversa e mai conosciuta prima. Un abile sistema di scatole cinesi volto a innescare un rimpallo di responsabilità che costerà al cliente, lasciato nella più totale confusione, infinite perdite di tempo e spiacevoli disagi.

Accade anche che, cercando di contattare la  tanto pubblicizzata azienda, si scopra che il contratto di acquisto è stato sottoscritto con una società indicata nel modulo con  caratteri microscopici e  che sembrerebbe totalmente staccata da quella utilizzata per pubblicizzare i mobili.

Prima di acquistare la mobilia dei propri sogni sarà bene ricordarsi che…“non tutto è oro quel che luccica”!

Se ritieni di esserti imbattuto in una situazione simile, non esitare a contattarci sin da subito! Il nostro staff, pronto a seguirti passo dopo passo, potrà offrirti l’assistenza di cui hai bisogno per far valere i tuoi diritti! Mettici alla prova.

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PRIVACY E CORONAVIRUS: RISCHI DA NON CORRERE

Quando le informazioni mancano, le voci crescono”, questa frase di Alberto Moravia è più che mai attuale in un periodo, come quello che stiamo attraversando, caratterizzato da un’ emergenza senza precedenti. Il Covid 19, nemico invisibile, sta mettendo a dura la tenuta nervosa – e non solo – di ognuno di noi

In questo clima surreale, può succedere che si inneschino delle reazioni a catena che sembrano inarrestabili. Ed infatti, molti di noi cedono alla tentazione di mettere in guardia amici e parenti, fornendo loro informazioni sull’identità di soggetti colpiti da Covid-19. Un’ anacronistica caccia agli “untori” che, oltre ad aumentare la psicosi generale, spesso sfocia in atti di discriminazione e ingiustificato allarmismo, con conseguenze inevitabili per chi è stato colpito dall’infezione, o sospetta di esserlo, e per i propri familiari.

Se da un lato la limitazione delle libertà diviene inevitabile al fine di contenere il contagio, dall’altro, la diffusione e la condivisione di notizie riservate, addirittura associate a foto e dettagli di ogni genere, rischiano di tradursi in una grave violazione dei dati personali.

Accade sempre più spesso che il Garante della Privacy riceva segnalazioni e reclami relativi alla diffusione, tramite social network e canali di informazione a mezzo stampa, di dettagli non essenziali al fine di notiziare sulla condizione di questi soggetti.

Seppur il Codice della Privacy preveda delle deroghe al diritto alla riservatezza, l’illecita diffusione di dati personali resta sanzionabile:

  • sul piano civile: chi dalla stessa avrà subito un danno potrà attivarsi al fine di ottenere il risarcimento;

  • sul piano penale: una simile condotta è punita con la reclusione fino a tre anni.   Nel caso di pubblicazione dei nominativi sui social network, sarà persino ravvisabile il reato di diffamazione a mezzo stampa. Inoltre, chi condivide notizie infondate e crea falsi allarmismi rischia una denuncia per procurato allarme, reato punibile, ai sensi dell’art. 658 c.p, con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda da dieci a cinquecentosedici euro.

RISERVATEZZA E DIRITTO DI CRONACA

Anche con riferimento agli operatori dell’informazione, il Garante ha precisato come gli stessi debbano “astenersi dal riportare i dati personali dei malati che non rivestono ruoli pubblici, per questi ultimi nella misura in cui la conoscenza della positività assuma rilievo in ragione del ruolo svolto”. Essi dovranno attenersi a dati statistici omettendo riferimenti anagrafici, immagini, e tutto ciò che possa far risalire all’identità della persona.

Il diritto alla riservatezza, pertanto, non può essere sacrificato in modo del tutto ingiustificato: non dimentichiamo, del resto, che, anche in tempo di pandemia, a tutto c’è un limite!

Se ti ritrovi in una di queste situazione sopra evidenziate, sia come soggetto che ha divulgato informazioni sensibili, sia come soggetto passivo che si è ritrovato coinvolto in spirali infinite di chat ed altri strumenti simili, sappi che è necessario comprendere in maniera analitica quelli che sono i diritti e doveri di un cittadino. Il nostro Staff è a Tua completa disposizione per darti che risposte che cerchi.

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RIDERS E CONSEGNE A DOMICILIO

CONSEGNE A DOMICILIO: TUTELA NORMATIVA DEI RIDERS

Ordinare una pizza a domicilio, o qualsiasi altro genere di cibo, tramite una telefonata oppure utilizzando semplici applicazioni mobili, è una comodità a cui spesso non sappiamo rinunciare. Per poter finalmente gustare ciò che abbiamo ordinato, però, è necessario attendere che il fattorino, c.d. rider, suoni alla nostra porta.

CHI SONO I RIDERS?

Si tratta ciclofattorini che, con l’utilizzo di un velocipede o di un veicolo a motore, effettuano concretamente la consegna presso il nostro domicilio. La gestione del rapporto di lavoro può avvenire attraverso una piattaforma multimediale e un applicativo per smartphone.

IL CASO 

Alcuni riders avevano stipulato con una nota azienda, che mette in contatto i ristoranti con i clienti finali attraverso una apposita applicazione, contratti di “collaborazione coordinata e continuativa”. Essi, però, lamentavano la mancanza di tutela prevista per quei lavoratori che, pur essendo formalmente autonomi, sono di fatto fortemente coordinati con l’organizzazione delle imprese.

IL RIDER È UN LAVORATORE DIPENDENTE?

L’attività dei riders non è compatibile con il lavoro subordinato per le ragioni messe in evidenza dalla Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 1663 /2020. A ben guardare, infatti, essa non presenta il requisito dell’obbligatorietà né prevede l’esercizio di qualsiasi potere disciplinare. In termini di tempo, inoltre, essa prevede un impegno poco rilevante, non essendo superiore mediamente a 20 ore settimanali.

Nel caso in esame, però, considerate le seguenti circostanze specifiche:

  • il lavoro del rider era organizzato su turni, in zone e compiendo itinerari stabiliti dalla committente;
  • i tempi di consegna erano stabiliti dalla stessa, con riferimento quantomeno ai limiti massimi di consegna, ossia 30 minuti dalla presa in carico del prodotto (pena l’applicazione di una penale)

si è stabilito che quella del rider è un’attività etero-organizzata dalla committente, con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro.

LA POSIZIONE DELLA CORTE

Tale attività è, pertanto, riconducibile alle “collaborazioni organizzate dal committente” la cui tutela è prevista dall’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015 e che si collocano tra il rapporto di lavoro subordinato e la collaborazione prevista dall’art. 409, n. 3, c.p.c. (la cosiddetta co.co.co.). Pur restando un lavoratore autonomo, al ciclofattorino andranno applicate le tutele del lavoro subordinato, previdenza compresa. La direzione, dunque, è quella di garantire una tutela omogenea anche a quelle forme di lavoro, che oscillano tra autonomia e subordinazione, nate nel nuovo contesto socio-economico caratterizzato dall’utilizzo, sempre più diffuso, delle nuove tecnologie.

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LA REVISIONE DELLA CALDAIA E’ ANNUALE O NO?

La nostra caldaia è l’artefice di quel piacevole tepore che ci avvolge quando rientriamo in casa, magari dopo una giornata di lavoro lunga, fredda e faticosa…

Puntuale come ogni anno ci giunge la chiamata del “nostro tecnico”  che ci fissa un appuntamento per il controllo della Caldaia.

E noi facciamo i conti sempre con la stessa domanda: “Ma è obbligatorio ogni anno?

Partiamo dalla normativa: il D.P.R. n. 74/2013 stabilisce che il nostro impianto di riscaldamento deve essere soggetto a degli interventi di revisione periodica.

 

OGNI QUANTO VA REVISIONATA LA NOSTRA CALDAIA ?

Occorre, in prima battuta, specificare che ci sono due differenti tipologie di revisione che hanno differente periodicità: il controllo di efficienza energetica e la manutenzione.

1) CONTROLLO DI EFFICIENZA ENERGETICA

Il controllo di efficienza energetica, meglio noto come controllo dei fumi, è volto ad accertare il rendimento della caldaia e consiste, tra l’altro, nell’analisi della combustione dei fumi. Questo tipo di controllo ha una periodicità variabile che dipende dalle diverse caratteristiche tecniche della caldaia. In linea generale è previsto ogni 2 anni per gli impianti alimentati a combustibile liquido o solido e ogni 4 anni per gli impianti alimentati a gas.

2) MANUTENZIONE

Il concetto di manutenzione racchiude varie operazioni che mirano a preservare nel tempo l’efficienza e la funzionalità della nostra caldaia. Tale può essere, ad esempio, la pulitura del bruciatore. La manutenzione non ha più una periodicità obbligatoriamente annuale. Ad oggi bisogna, infatti, far riferimento al contenuto del manuale di istruzioni tecniche della caldaia, che nella stragrande maggioranza dei casi impone un controllo ogni anno.

CHI DEVE SVOLGERE E QUAL È IL COSTO DELLE OPERAZIONI DI REVISIONE DELLA NOSTRA CALDAIA?

Le operazioni di revisione devono necessariamente essere eseguite da ditte abilitate ai sensi del decreto del Ministro dello sviluppo economico n. 37/2008 e hanno un costo medio di 90-100€ per quanto concerne il controllo di efficienza (verifica delle emissioni) e di 70-80€ per la manutenzione ordinaria.

Giova ricordare in questa sede che ogni intervento di revisione dev’essere certificato con un rapporto da parte del tecnico abilitato che lo esegue, il quale confluirà nel libretto di impianto. Il libretto costituisce un documento importantissimo poiché consente di accertare di essere effettivamente in regola con tutte le questioni riguardanti il nostro impianto di riscaldamento. Il bollino blu caldaia che è obbligatorio ed è rilasciato dal tecnico (autorizzato dal Comune) una volta concluse le summenzionate operazioni, serve ad attestare la buona riuscita della revisione.

PERCHÉ FAR CONTROLLARE PERIODICAMENTE LA CALDAIA?

Innanzitutto è importante per motivi di sicurezza, prevenendo eventuali incidenti domestici. Inoltre, una caldaia in regola permette di inquinare meno e quindi di ridurre i consumi, ottenendo così un risparmio in bolletta. Se i motivi appena richiamati non vi hanno ancora convinto, ricordiamo che le operazioni di controllo e di manutenzione sono obbligatorie per legge e che il mancato rispetto delle disposizioni in materia è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 500€ e non superiore a 3000€!!!

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MUSICA IN AUTO? ATTENZIONE AL VOLUME

Che si tratti della canzone del momento, di una trasmissione radiofonica o di una semplice partita di calcio, la radio è spesso accesa nelle nostre autovetture. Ascoltare la musica mentre si guida però, pur essendo un piacevole diversivo, può riservare inattesi risvolti penali!

Già nel 2016, infatti, la Corte di Cassazione aveva chiarito come una simile condotta potesse disturbare le occupazioni o il riposo delle persone, tanto da integrare il reato di cui all’art. 659, co. 1 c.p. che punisce chiunque disturba la pubblica quiete con modalità determinate e chi esercita, nel mancato rispetto della legge o delle disposizioni dell’autorità, attività industriali o professionali rumorose.

Ebbene, con la recentissima sentenza n. 2658/2020 tale realtà prende maggiore forma.

IL CASO: un soggetto guidava di sera la propria auto, in una zona urbana e popolata, con l’impianto musicale a un volume talmente alto da far suonare gli allarmi delle autovetture in sosta. Accusato di aver recato disturbo ai sensi dell’art.659, co. 1 c.p.., viene assolto in primo grado per l’assenza di denunce a suo carico e per la mancata rilevazione della soglia del rumore: non era stato sufficientemente provato l’elemento disturbante contestato, nonostante le suddette circostanze fossero state testimoniate dall’ufficiale di polizia giudiziaria.

IL RICORSO: il Pm, come previsto dall’attuale D.lgs. n. 11/2018 in caso di contravvenzione da punire con pena alternativa al carcere, ricorre direttamente in Cassazione. 

LA DECISIONE: il provvedimento di assoluzione, posto all’attenzione della Suprema Corte, viene completamente ribaltato. Sul presupposto che si tratti di un reato di pericolo gli Ermellini hanno ritenuto una simile condotta suscettibile di integrare il reato in questione, senza che sia necessario rilevare il volume dell’impianto con una strumentazione ad hoc! Ai fini dell’accertamento della tollerabilità o meno delle emissione sonore da parte del giudice, infatti, lo stesso potrà valutare dati fattuali quali, ad esempio, il verbale redatto da parte dell’ufficiale di polizia giudiziaria che ha effettuato il sequestro preventivo della cassa acustica.

Non solo. È sufficiente che la suddetta condotta sia idonea a disturbare potenzialmente un numero indeterminato di individui, senza che sia necessario che essa abbia arrecato offesa a più persone determinate. Sarà, dunque, irrilevante la mancanza di denunce a carico del soggetto, potendosi tale illecito consumare anche con una sola condotta di schiamazzo o rumore idonea ad arrecare disturbo effettivo alle occupazioni o al risposo delle persone.

Per ricevere maggiori informazioni su questa fattispecie o su altre problematiche civili e/o penali, non esitare a contattarci.

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