COSTI AGGIUNTIVI SULLE BOLLETTE. NON SE NE PUO’ PIU’

Quante volte capita di ricevere delle bollette che contengono dei costi aggiuntivi di cui non avevamo idea? A volte lasciamo perdere, ma altre volte  diventa  obbligatorio contestarli anche per una questione di principio!

In genere le contestazioni sulle bollette si fanno attraverso dei RECLAMI.

Ma quando si può inviare un reclamo?

1) in caso di richiesta di pagamento di una bolletta già pagata;

2) quando vengono addebitati in bolletta servizi non utilizzati;

3) viene richiesto di pagare una somma maggiore rispetto a quella dovuta.

COME SI FA UN RECLAMO?

Un reclamo va fatto con uno strumento che può dimostrare il suo invio, al fine di conservare la sua prova: o a mezzo di raccomandata con ricevuta di ritorno o PEC.

Nella lettera si deve fare una specifica richiesta di rettifica all’Azienda che ha emesso la bolletta, spiegando i motivi della contestazione.

L’Azienda fornitrice ha,  poi,  40 (quaranta) GIORNI di tempo per effettuare verifiche e rispondere, qualora abbia riconosciuto l’errore.

Ricordate: molte volte la semplice telefonata al numero verde dell’Azienda NON SERVE A NULLA!

Nel caso in cui non si trova una soluzione occorre, in primis, rivolgersi all’Autorità Garante.

Nel corso degli anni si sono intensificati i reclami alle Autorità Garanti per denunciare la serie di contratti non richiesti, offerte poco trasparenti, diritto di recesso non facile, modifiche delle condizioni. Que4sti organismi, nelgi ultimi anni, hanno approvare delle regole chiare per venire in aiuto dei “poveri” utenti e cioè:

– la pubblicazione di informazioni circa le offerte commerciali, effettuata con qualsiasi mezzo, deve avvenire in modo chiaro, completo e trasparente, evitando formulazioni ambigue o che possa indurre in errore gli utenti;

– la mancata risposta dell’utente a una offerta di fornitura non può essere considerata come consenso contrattuale;

– la durata dei contratti deve essere circoscritta nel tempo (non superiore a 24 mesi);

– la modifica del contratto può avvenire solo in seguito ad “un giustificato motivo indicato nel contratto stesso” il cui preavviso deve essere di almeno un mese e il contratto deve decadere se la comunicazione del recesso da parte del consumatore arriva prima dell’entrata in vigore delle modifiche;

– le eventuali modifiche dovranno essere comunicate in fattura in modo chiaro e inequivocabile.

In ogni caso, per districarsi in questa selva di norme, è sempre meglio affidarsi a professionisti del settore in grado di valutare tutti i diritti del consumatore ed il rispetto dei contratti di utenza che, molto spesso, vengono sottoscritti senza avere alcuna idea di cosa si firmi.

Rivolgersi al nostro studio significa avere delle risposte chiare, prima di prendere ogni decisione necessaria che porta alla tutela dei propri diritti.

Noi di Spazio Legale vi offriamo un quadro completo della situazione.

Sarete voi a decidere, in piena consapevolezza e dietro nostro parere, come muovervi per far valere i vostri diritti.

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CARTELLE ESATTORIALI NON PAGATE? SI RISCHIA IL FERMO DELL’AUTO!

 

 

La notifica di una cartella esattoriale riguardante il mancato pagamento di tributi o tasse di varia natura (ad esempio, IVA, IRPEF, Bollo auto, ICI, Canone TV, ecc. nonché multe relative ad infrazioni al Codice della Strada), è una circostanza da non sottovalutare. Trascorsi 60 giorni dalla stessa, infatti, senza essersi attivati per pagare, rateizzare oppure ottenere la sospensione o l’annullamento del debito, l’Agente della Riscossione è tenuto per legge al compimento di ulteriori azioni per riscuotere gli importi richiesti dagli enti creditori. Tra le procedure che è possibile attivare, a garanzia delle somme non pagate, c’è il fermo amministrativo dell’auto del debitore, tramite iscrizione di tale provvedimento nel Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

Cos’è il preavviso di fermo?

Prima di procedere con l’iscrizione, al debitore viene inviato un preavviso per consentire di regolarizzare la propria posizione. Il fermo amministrativo, infatti, deve essere preceduto, dalla comunicazione del preavviso di fermo. Si tratta di un atto nel quale dovranno essere riportati i seguenti elementi: la natura del debito, l’importo dovuto e l’anno di riferimento, il numero della cartella esattoriale e la prova della sua notifica. Trascorso inutilmente il termine di 20 giorni senza che il debitore abbia regolarizzato la propria posizione o richiesto la rateizzazione o sospensione, si procederà con l’iscrizione del fermo amministrativo al PRA che diventerà effettivo senza necessità di ulteriore comunicazione al debitore: dunque spetta al debitore controllare che tutto sia in regola!

Cosa accade a seguito dell’iscrizione del fermo amministrativo?

Una volta iscritto il fermo sul nostro veicolo, la disponibilità dello stesso sarà limitata fino a quando non saremo in grado di saldare il nostro debito e di ottenere, pertanto, la cancellazione dell’iscrizione dal PRA. Nel frattempo, non potremo più demolire o esportare il veicolo in questione né circolare con esso, né il PRA potrà radiarlo. Le medesime attività non saranno possibili nemmeno nel caso riuscissimo a vendere il veicolo successivamente all’iscrizione del fermo. Perseverare nel mancato pagamento del debito contratto significherà, inoltre, correre un ulteriore grave rischio: l’ente concessionario della riscossione potrà agire forzatamente per la vendita del veicolo!

Attenzione: non potrà procedersi al fermo amministrativo in due casi:

  • Trasporto di persone diversamente abili: l’agente della riscossione non procede all’iscrizione del fermo amministrativo per i veicoli adibiti o destinati ad uso di persone diversamente abili e, laddove il fermo risultasse già iscritto, provvede alla sua cancellazione presentando apposita istanza ed allegando la documentazione necessaria per attestare l’utilizzo del veicolo per tale tipo di trasporto.

  • Veicolo strumentale all’attività di impresa o della professione esercitata entro 30 giorni dal ricevimento del preavviso di fermo, qualora il veicolo oggetto dello stesso sia di proprietà e il suo utilizzo abbia rilevanza per l’attività d’impresa o professionale, è possibile presentare apposita istanza allegando la documentazione necessaria per attestare la strumentalità del veicolo.

L’atto di preavviso di fermo è impugnabile, nel termine di 60 giorni dalla notifica dello stesso, in quanto spesso risulta essere l’unico atto attraverso il quale il contribuente viene a conoscenza dell’esistenza nei suoi confronti di una procedura di fermo amministrativo dell’autoveicolo, atto che potrebbe fondarsi su tributi ormai prescritti e, dunque, risultare illegittimo.

Ti trovi in questa spiacevole situazione? contattaci. Ti diremo come fare.

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FINANZIAMENTI E SEGNALAZIONI: COSA C’E’ DA SAPERE

 

Al giorno d’oggi siamo sommersi da offerte per acquisto di elettrodomestici o di altri beni di consumo. La maggior parte delle volte, legato all’acquisto, vi è anche la possibilità di sottoscrivere dei finanziamenti a tassi agevolati.

Ed ecco che anche se la spesa non rientrava nei programmi familiari, si accede ad un finanziamento che si aggiunge, quasi senza rendersene conto, agli altri che già erano e sono pendenti….

Così ci si ritrova con pagamenti che gravano sul bilancio familiare oltre alle bollette della luce, gas, acqua, affitto, spesa, costo dei figli etc..etc…. E, quasi senza rendersene conto, si inizia a ritardare i pagamenti….

La prima cosa che può succedere se non si paga un finanziamento è che la finanziaria può segnalare il nominativo dell’inadempiente nelle cosiddette “liste dei cattivi pagatori“ o dei “sofferenti”. Si tratta di banche dati nelle quali vengono iscritti i nominativi di coloro che, avendo ottenuto un prestito, non lo pagano regolarmente.

Queste liste hanno la funzione di far conoscere alle banche e alle finanziarie l’affidabilità delle persone: ovviamente un istituto di credito non concederà un prestito a chi risulta un cattivo pagatore. In tal modo le finanziarie si informano a vicenda se sia conveniente concedere o meno un prestito ad un soggetto.

Bisogna sapere, però che ci sono delle regole che devono essere rispettate da parte delle Finanziarie, prima di procedere alla segnalazione al CRIF e cioè:

– è necessario che le rate non pagate siano almeno due;

– devono mandare un preavviso di segnalazione in caso di mancato pagamento delle rate scadute con invito a pagare entro e non oltre 15 giorni.

L’iscrizione nelle liste dei cattivi pagatori è temporanea: trascorso un certo periodo, si viene cancellati in automatico. Il tempo necessario è:

– 12 mesi, in caso di ritardo nel pagamento di una o due rate;

– 24 mesi, qualora non si siano pagate almeno tre rate.

Il termine decorre dal pagamento di quanto dovuto, ovvero, se ciò non avviene, dalla risoluzione del contratto da parte della finanziaria.

In genere, quando un soggetto è moroso, la finanziaria comincia a sollecitare il debitore affinché provveda al pagamento. In genere questi solleciti vengono effettuati da una società di recupero crediti.

I SOLLECITO DI PAGAMENTO

Prima di ricorrere al giudice, le finanziarie provano ad ottenere il pagamento dal debitore servendosi di apposite società, dette di recupero crediti, che fanno pressione sull’interessato con telefonate che, spesso, sono decisamente aggressive, fino a diventare vere e proprie minacce.

In tali casi non bisogna però lasciarsi intimidire, perché, prima di arrivare a queste estreme conseguenze, è necessario che la finanziaria si rivolga al giudice ed ottenga una sentenza o un decreto ingiuntivo a carico del debitore! Fate attenzione perché per ogni telefonata, ricevuta prevede un costo aggiuntivo di circa 15,00 euro!! Se, invece, un dipendente della società di recupero crediti si reca presso l’abitazione del debitore, la spesa da rimborsare aumenta notevolmente, essendo pari a 50 euro ogni 500 euro dovuti dal debitore.

In questi casi, conviene attivarsi per farsi rappresentare da professionisti preparati che possono dialogare con le Finanziarie, anche al fine di evitare una emorragia di costi aggiuntivi, sanzioni e penali applicate dalle finanziarie che potrebbero rendere impossibile il pagamento del dovuto.

Noi di Spazio Legale siamo a Vs. completa disposizione per guidarvi in queste difficili e spiacevoli situazione che, purtroppo, oggi non sono più isolate.

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SEPARAZIONE: UNA NUOVA CONVIVENZA FA PERDERE IL DIRITTO DI AVERE SOLDI DALL’EX!

Negli ultimi anni abbiamo assistito a dei cambiamenti di orientamento della Suprema Corte sulla disciplina dei rapporti economici tra coniugi separati.

La Corte di Cassazione, infatti, ha sancito il principio seguente:  se la donna che percepisce l’assegno divorzile inizia una convivenza con un’altra persona e con questa forma una famiglia di fatto perde il diritto al mantenimento per sempre!  A prescindere dalle condizioni economiche del nuovo partner.

Questo perché: la scelta libera e consapevole di formarsi una nuova famiglia implica sempre l’assunzione di un rischio che non può certo ricadere sul precedente coniuge. Quindi chi decide di andare a convivere con un’altra persona, DEVE ACCETTARE il fatto che non vuole avere più legami con il precedente coniuge e tutti i relativi legami economici stabiliti in sede di separazione e divorzio.

MA ATTENZIONE: se la nuova convivenza non dovesse “funzionare”, il coniuge non può più tornare indietro e chiedere di nuovo l’assegno all’ex. Quindi la perdita del diritto all’assegno e’ irreversibile!

PROCEDURA DA SEGUIRE

La nuova convivenza non fa cessare automaticamente il diritto all’assegno. Bisogna fare molta attenzione a questo. Il coniuge, quindi, deve rivolgersi all’autorità giudiziaria chiedendo la decadenza dall’assegno per l’ex che ne usufruiva.  Dovrà, in pratica, DIMOSTRARE CHE L’EX HA INIZIATO UNA NUOVA CONVIVENZA!

Per prima cosa conviene andare a chiedere al Comune per vedere se l’ex, trasferendosi a vivere con il nuovo compagno, ha spostato  la residenza ed è entrato a far parte del nuovo nucleo familiare.  poi dovrà dimostrare “la nuova vita” dell’ex.

Una precisazionenon occorre provare che la nuova relazione sia amorosa e a che livello di intimità sia arrivata (anche perché sarebbe impossibile), ma basta dimostrare la convivenza per una sorta di legame affettivo tra i due.

COSA SI DEVE PROVARE

In buona sostanza, il marito che vuole ottenere la revoca dell’assegno dovrà dimostrare solo che l’ex moglie coabita con un’altra persona in modo stabile (ossia da un lasso di tempo apprezzabile); sarà poi quest’ultima semmai, per difendersi, a dover dimostrare che non si tratta di una convivenza more uxorio ma di una semplice amicizia.

ULTIME NOVITA’ DELLA CASSAZIONE

La Cassazione, nelle sue ultime decisioni, arriva a dichiarare che NON E’ NECESSARIA LA COABITAZIONE, basta provare l’inizio di un nuovo legame fra l’ex ed il nuovo compagno/a.

Infatti «può esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza, intesa come comunanza di vita e di affetti, in un luogo diverso rispetto a quello in cui uno dei due conviventi lavori o debba, per suoi impegni di cura e assistenza, o per suoi interessi personali o patrimoniali, trascorrere gran parte della settimana o del mese, senza che per questo venga meno la famiglia». Anche in tali casi quindi si perde l’assegno di mantenimento.

Ogni situazione va valutata nello specifico, ricostruendo la storia coniugale e cercando le varie soluzioni nel rispetto della legge.

Noi di Spazio Legale ti offriamo una consulenza completa. Queste vicende abbracciano settori del diritto,  fiscali ed altre competenze che vanno esaminate nel loro complesso.

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UNA TOMBA NON É PER SEMPRE! QUALCHE CHIARIMENTO SULLA CONCESSIONE CIMITERIALE

Se il diamante citato in un noto spot pubblicitario viene considerato un oggetto dall’eterna durata, ciò non può certamente dirsi per una concessione cimiteriale!

Vediamo più da vicino come funziona la relativa disciplina e cosa sapere in merito per evitare spiacevoli inconvenienti.

Si tratta una concessione amministrativa di un’aerea di terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico, come stabilito dal D.P.R. 285 del 10.09.1990 e dai vari Regolamenti Comunali di Polizia Mortuaria.

Si tratta, nello specifico, di una concessione d’uso temporanea – con possibilità di essere rinnovata- della tumulazione di salma (o ceneri).

La concessione di sepolcri privati nei cimiteri deve essere necessariamente formalizzata attraverso un atto di concessione con il quale il Comune attribuisce ad un terzo il diritto d’uso di un bene demaniale per un determinato periodo di tempo. 

L’interessato diviene, così, concessionario del posto di sepoltura per tutta la durata della concessione, dietro pagamento di una somma di denaro stabilita dal Regolamento Comunale.

Quanto dura un concessione cimiteriale?

Per ciò che concerne la durata delle concessioni cimiteriali, essa solitamente è di anni 30 e non può essere superiore ad anni 99.

ricordiamo che non è più possibile concedere concessioni perpetue dall’entrata in vigore del D.P.R. n. 803/1976!

Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del suddetto decreto, possono essere oggetto di revoca, alla presenza di tre condizioni:

  1. quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell’ultima salma;

  2. nel caso in cui si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del Comune;

  3. non sia possibile provvedere tempestivamente all’ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero.

Come comportarsi nel caso in cui la concessione stia per scadere?

Prima che sopraggiunga la scadenza della concessione, l’Amministrazione comunale provvede a comunicare la stessa all’interessato nonché le condizioni per presentare l’eventuale richiesta di rinnovo o richiedere la proroga del termine.

Qualora il Comune non fosse dotato di un Regolamento comunale di Polizia Mortuaria, o in esso nulla vi fosse stabilito, viene in ogni caso riconosciuto il diritto da parte del concessionario di poter ottenere il rinnovo della concessione.

In ogni caso, spetterà a quest’ultimo attivarsi a tal fine, non essendo contemplato alcun rinnovo tacito!

Se hai bisogno di una consulenza in merito non esitare a contattarci.

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ATTENTI ALL’EREDITA’. NON SEMPRE CONVIENE ACCETTARE!

 

La morte rappresenta una normalissima fase della vita di ognuno di noi.

A seguito della dipartita di un individuo, oltre alle conseguenze di natura fisica della morte, si aprono delle incombenze che permetteranno il trasferimento dei beni – lasciati dal defunto – agli eredi.

L’accettazione dell’eredità è, pertanto, un atto fondamentale ai fini dell’acquisto della qualità di erede e può essere espressa o tacita.

Ma attenzione: chi accetta l’eredità NON PUO’ PIU’ TORNARE INDIETRO E RINUNCIARE.

La rinuncia, al contrario, è un atto che deve essere effettuato con dichiarazione ricevuta da un notaio o da un cancelliere del Tribunale.

Ed infatti non sempre una eredità è conveniente, perché come si ereditano le “cose buone” (esempio: soldi, proprietà ed altro) si ereditano le “cose cattive” (debiti ect. etc..)

Prima di accettare l’eredità, però, i futuri eredi possono vedersi obbligati al disbrigo di alcune pratiche dei beni del defunto che non possono essere rinviate.

Ogni azione, però deve essere mirata esclusivamente ALLA CONSERVAZIONE DEL PATRIMONIO EREDITARIO ( esempio: lavori urgenti indifferibili per evitare il crollo di una casa del defunto)

Una precisazione: gli atti fiscali, come ad esempio la presentazione della dichiarazione di successione, presentata da un parente, non comportano l’accettazione dell’eredità.

L’accettazione dell’eredità può essere anche TACITA e cioè quando il chiamato all’eredità compie degli atti con i beni del defunto che presuppongono implicitamente la qualifica di erede (esempio: riscuotere canoni di locazione del defunto)

Bisogna fare attenzione quando si ha il possesso dei beni del defunto e non si è ancora accettata l’eredità. Il fatto stesso di non far nulla, limitandosi a conservare l’eredità, non mette al riparo il futuro erede. Infatti c’è un articolo del codice civile (485 c.c.) che dice espressamente che “il chiamato all’eredità, quando a qualsiasi titolo è nel possesso di beni ereditari, deve fare l’inventario entro tre mesi dal giorno dell’apertura della successione o della notizia della devoluta eredità e, qualora non rispetti tale termine, è considerato erede puro e semplice”.

Questa norma serve ad evitare che vi sia un possesso prolungato dei beni del defunto che porterebbe, comunque alla confusione con quelli del chiamato all’eredità.

Pertanto, se il chiamato all’eredità è nel possesso dei beni del defunto, deve fare un inventario per indicare quelli che sono i beni del defunto e, quindi, per tenerli separati da quelli propri.

Questa materia è, per molti versi, complicata e strutturata in modo tale da garantire non solo gli eredi futuri, ma anche le altre persone (ad esempio i creditori) che possono vantare dei diritti sui beni del defunto e che non devono subire un pregiudizio dai chiamati all’eredità che non si decidono ad accettare.

È opportuno, pertanto, rivolgersi a personale specializzato che possa fornire una consulenza completa sulle problematiche di una apertura della successione e per evitare che ci si possa ritrovare eredi senza neanche accorgersene e con esposizioni debitorie che possono rovinare la vita dell’ignaro erede.

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SEI DIPENDENTE DA FACEBOOK? ATTENTO A NON ESSERE LICENZIATO!

Quante volte ci ripetiamo:  ok do solo una sbirciatina su FB per vedere quanti MI PIACE ha ricevuto il mio post”

Bisogna fare attenzione, però, a non distrarsi sul posto di lavoro!

Ed infatti, la passione oramai dilagante per i social può avere conseguenze di non poco conto, soprattutto se non si riesce a contenerla sul proprio posto di lavoro.

La Corte di Cassazione, in una recente sentenza, ha ritenuto legittima la causa di licenziamento di una segretaria di uno studio medico che, lavorando part time ed utilizzando il computer dell’ufficio, ha effettuato 4.500 accessi su Facebook in soli 18 mesi.

Galeotta la cronologia che il datore di lavoro aveva prontamente controllato e che non lasciava alcun dubbio sull’uso inappropriato del pc ad opera della propria dipendente durante ben tre delle ore di lavoro giornaliere!

A seguito del provvedimento adottato nei propri confronti, la donna, ritenendo di aver sempre svolto le proprie mansioni correttamente, provvedeva ad impugnare il licenziamento sostenendo, a sua volta, di aver subito da parte del titolare dello studio medico una violazione della privacy.

Ricordiamo che in caso di licenziamento per giusta causa, per poter stabilire se la lesione del vincolo fiduciario sia tale da giustificare tale massima sanzione disciplinare, il giudice deve valutare la gravità dei fatti addebitati al lavoratore e la proporzionalità fra gli stessi e la sanzione inflitta. Ebbene, nel caso che ci occupa, la Cassazione ha ritenuto LEGITTIMO IL LICENZIAMENTO IN QUESTIONE, ESCLUDENDONE LA NATURA RITORSIVA O DISCRIMINATORIA e, respingendo i ricorsi proposti dalla donna, ha quindi confermando in via definitiva il verdetto d’appello pronunciato nei confronti della stessa, ritenendo la gravità del comportamento «in contrasto con l’etica comune» e condannandola anche alle spese di giudizio.

Pur se non sempre il numero elevato di accessi è sinonimo di perdita di tempo sul posto di lavoro, in questo caso, atteso l’elevato numero di accesso ai social, il comportamento della dipendente è stato ritenuto idoneo a pregiudicare il rapporto fiduciario con il titolare dello studio medico, indipendentemente dall’eventuale correttezza delle mansioni svolte dalla stessa.

Dunque, ATTENZIONE ALL’USO CHE SI FA DELLA RETE SUL POSTO DI LAVORO: una compulsiva e irrefrenabile consultazione dei social può costituire un comportamento particolarmente grave tale da fa venir meno uno degli elementi essenziali del rapporto lavorativo, e giustificarne, così, la cessazione mediante licenziamento.

Hai bisogno di una consulenza per comprendere quelli che sono i tuoi diritti, ma anche i tuoi obblighi sul posto di lavoro?

Non esitare a contattarci.

Ogni caso va valutato nello specifico dunque occorre affidarsi a personale specializzato che possa studiare la questione in maniera competente e approfondita.

Il nostro Staff di avvocati è a tua completa disposizione!

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BUCA PER STRADA: SE INCIAMPI E’ COLPA TUA!!

 

Gli Ermellini, in una recente sentenza della Cassazione, tornano su una questione di stringente attualità: le insidie stradali.
In pratica cosa hanno stabilito? Cerchiamo di tradurre in termini semplici e pratici al fine di rendere il contenuto della sentenza comprensibile a tutti.

I giudici hanno così deciso: se l’insidia stradale (buca) è PREVEDIBILE – e cioè se le le dimensioni della stessa sono notevoli e ci sono buone condizioni di visibilità – non può esserci il risarcimento del danno!
Hanno poi espresso un principio molto importante: chi vuole citare in giudizio il Comune, DEVE DIMOSTRARE la responsabilità dell’Ente (come succede per i sinistri stradali in cui chi propone la causa deve dimostrare la responsabilità della controparte nel verificarsi del sinistro).

Fino ad ora, invece, quasi sempre, si seguiva un altro principio e cioè quello DELLE COSE IN CUSTODIA (chi ha una cosa in custodia -come il Comune ha le strade-  deve provare di aver attuato tutti gli strumenti idonei ad evitare un danno a terzi e facendo leva su un evento di forza maggiore che non poteva essere previsto).
La differenza, in questo caso era ENORME perché era il Comune che doveva provare la propria diligenza, mentre il danneggiato non doveva provare nulla!

Quindi, in base alle ultime sentenze, sarà fondamentale accertare il comportamento del danneggiato: se non emerge che la buca non era prevedibile (ad esempio nascosta dall’acqua) o non visibile perché nascosta (ad esempio mattone traballante), costui potrebbe correre il rischio di perdere la causa!
Occorre fare attenzione anche se la buca era segnalata dal Comune o  se il danneggiato era solito passare da quella strada (il fatto di frequentare quella via potrebbe far intendere che non poteva negare di aver visto, almeno una volta quella insidia!).

Al di là della interpretazione giuridica che il più delle volte è altalenante, come siamo stati abituati negli ultimi anni, a nostro avviso i Giudici dovrebbero anche tenere in considerazione diversi aspetti.
Esempio: si pensi ad un pedone che, in quanto tale, vuole fare quattro passi a piedi per prendere un po’ di aria. Ebbene, se ognuno di noi esce a piedi e deve fare attenzione ESCLUSIVAMENTE ad evitare la buche per non farsi male, arriva all’assurdo
– di prendere la propria autovettura per evitare di uscire a piedi! E sempre che le stesse non siano tali da far scoppiare anche gli pneumatici della macchina!?!
– oppure chi va in vacanza a Roma che non può godere della bellezza storica dei monumenti perché deve fare attenzione alle buche per strada (situazione conosciuta anche dai Giapponesi che vengono a visitare l’Urbe) e quindi col rischio di non ottenere il risarcimento per le lesioni subite perché PREVEDIBILI!

Quindi bisognerebbe contemperare tutti gli interessi in gioco e, FORSE, RAGIONARE, ANCHE IN TERMINI PRATICI. Questo al solo fine di evitare paradossi come quelli sopra enunciati.

In ogni caso occorre fare molta attenzione per districarsi in questa confusione che molte volte si crea.
È quindi necessario rivolgerci a professionisti preparati che possano ricostruire la dinamica dell’evento per far comprendere all’utente se ci sono reali e concrete possibilità di ottenere il risarcimento nei confronti del Comune.
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VITA DIFFICILE PER I TECNOLOGICI ALLA GUIDA!!

 

 

 

 

Ormai tutti viaggiamo in macchina col cellulare in mano, intenti a mandare messaggi vocali o ad ascoltarne altri lunghissimi nel mentre si cerca di ingranare la marcia con la mano sinistra…

Ma le cose stanno cambiando. Sono state presentate delle proposte di legge per rendere ancora più aspre le sanzioni attualmente previste. E questo giustamente. Non si può rischiare e far rischiare ad altri la vita per una telefonata o per un messaggio di Waths App.

Oggi, il Codice della strada vieta la guida con cellulare in questi termini:

il conducente non può durante la marcia utilizzare «apparecchi radiotelefonici» né cuffie sonore, fatta eccezione per chi guida un veicolo delle Forze armate o dei Corpi di polizia oppure adibiti ai servizi delle strade e delle autostrade, nonché al trasporto di persone in conto terzi”.

In pratica, il Codice oggi parla genericamente di apparecchi radiotelefonici, quindi di qualsiasi dispositivo atto a fare o ricevere telefonate, e cita anche in modo più specifico le cuffie intese come quelle con cui si ascolta la musica.

Si può, invece, parlare al telefono col sistema vivavoce o tramite auricolare. Chi si trova alla guida deve sempre avere le mani sul volante e mai impegnate nell’armeggiare con i dispositivi elettronici.

Infatti l’articolo, stabilisce che sono consentiti solo quei dispositivi «che non richiedono per il loro utilizzo l’uso delle mani».

Quindi il legislatore ha ritoccato alcune norme per inasprire le sanzioni nei confronti di chi viene trovato col cellulare in mano, anche se intento a pigiare un solo tasto.

L’attuale proposta, infatti, prevede la sospensione della patente da uno a tre mesi già la prima volta in cui l’automobilista viene trovato al volante con il cellulare in mano. Fino ad oggi la sospensione scatta, infatti, in caso di ripetizione dell’infrazione. Anche l’importo della multa è stato fortemente aumentato. In caso di ripetizione dell’infrazione nell’arco di un biennio, la multa sarà più salata.

La proposta di legge prevede che la sanzione può arrivare non solo se si sta guidando con il telefonino in mano, ma anche se si allontana una mano dal volante per premere qualche tasto dal navigatore o per pigiare l’icona che consente di ricevere una telefonata o di spegnere l’apparecchio! Questo significa anche che è vietato toccare il navigatore mentre si guida, a meno che non sia dotato di comandi al volante, come la radio o in caso di comandi vocali di cui dispongono già oggi molti modelli.

Quindi il conducente non deve mai staccare le mani dal volante, come stabilito dal Codice della strada. Se vuole parlare al telefono il conducente se non è dotato dei mezzi tecnologici che gli consentono di parlare CON LE MANI SEMPRE SUL VOLANTE, dovrà fermare l’auto per parlare al telefono.

Oltre al telefono saranno vietati durante la guida tablet e computer portatili.

La vita si fa davvero dura la vita per gli incalliti del telefono!

Hai bisogno di una consulenza in merito?
Contattaci. Il nostro Staff di avvocati è a tua completa disposizione.
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RECESSO NELLA LOCAZIONE. COME E QUANDO?

 

Assicurazione sulla vita

 

Quale è l’incubo di tutti gli inquilini che vogliono lasciare la casa in cui abitano?
Lo sappiamo tutti! La paura principale è quelle se riuscirà a recuperare o meno la caparra data al momento della sottoscrizione del contratto di locazione.

DURATA LOCAZIONE
Nei contratti di locazione viene sempre inserita la durata.
Nella maggior parte dei casi la durata è prorogabile per gli stessi anni stabiliti nel contratto, se il proprietario o l’inquilino non inviano, ENTRO IL TERMINE STABILITO, una raccomandata con ricevuta di ritorno con cui comunicano di non voler rinnovare la locazione.
Esempio: se il contratto ha durata di quattro anni dal 01.01.2019 ed è prevista la clausola di un preavviso di almeno 3 mesi per il recesso, l’inquilino dovrà trasmettere una raccomandata entro il 30.09.2023. se non la invia, il contratto si rinnoverà per altri 4 anni.

Una sola precisazione: naturalmente parliamo di contratti regolarmente registrati, perché per IN NERO SONO NULLI! In questo caso non ci sono clausole valide tra le parti ed ognuna potrà agire come meglio crede. In caso di contrasto tra inquilino e proprietario, allora, occorrerà andare in Tribunale per fare decidere al Giudice anche sui canoni pagati che si basavano su un contratto nullo!
A differenza quindi dei primi due casi, che richiedono sempre l’accordo tra locatore e conduttore (cosiddetto «recesso convenzionale»), il recesso per gravi motivi invece spetta per legge anche se non inserito in contratto (infatti si parla di «recesso legale» in quanto previsto dalla legge e obbligatorio a prescindere dalla volontà dei due contraenti).
La legge, poi, consente al conduttore il RECESSO PER GRAVI MOTIVI in qualsiasi momento Ma anche in questo caso bisogna dare un preavviso di almeno sei mesi sempre con la “solita “ raccomandata.

Quali sono i gravi motivi?
Ecco alcuni esempi:
– impianti non a norma;
– trasferimento per lavoro dell’inquilino;
– perdita di lavoro dell’inquilino;
– ampliamento della famiglia;
– invalidità del conduttore che non consente una normale vita nell’immobile
– altri casi che potranno essere decisi dal Giudice in caso di contrasto delle parti.

MA A COSA SERVE IL PREAVVISO?
Il preavviso serve per evitare un danno al proprietario. Ed infatti, messo a conoscenza della volontà dell’inquilino di andare via, il proprietario potrà iniziare a cercare un nuovo inquilino da far entrare non appena la casa sarà libera. Se, invece, il preavviso non viene dato, il proprietario potrebbe non aver il tempo per trovare un nuovo inquilino ed ecco che potrà comunque chiedere i canoni a quello che è andato via senza rispettare il termine.

CONCLUSIONE Non è previsto alcun tipo di recesso anticipato per gravi motivi senza preavviso. Il preavviso, salvo diverso accordo, va comunque dato. Ciò non toglie che il proprietario potrebbe rinunciare al suo diritto e quindi, se c’è l’accordo della parti, far inserire nel contratto che l’inquilino può andare via senza preavviso.

In ogni caso questa materia è complessa e delicata. Ogni caso va valutato nello specifico.
Occorre affidarsi a personale specializzato che possa studiare la questione approfonditamente.
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